E-sister-e for Peace, quale processo di integrazione le migranti provenienti da zone di conflitto?
16 Ottobre 2020Il Sole 24 Ore, Alley OOp: migrazione non è neutra, serve approccio di genere
19 Ottobre 2020Cosa manca al sistema di accoglienza delle
donne provenienti dai luoghi di conflitto e vittime di diverse
forme di violenza in Italia? La Convenzione di Istanbul viene
applicata? Come accogliere le donne vittime di violenza in una
prospettiva interculturale di genere e quale formazione per gli e
le operatrici degli ex/Sprar-Siproimi e delle reti territoriali
per non creare ulteriore vittimizzazione? A queste e a molte
altre domande ha voluto dare risposta il progetto “E-sister-e for
Peace: la sorellanza senza frontiere”, promosso da Fondazione
Pangea Onlus e finanziato dal Piano d’azione nazionale donne pace
e sicurezza del Ministero degli Affari Esteri e della
Cooperazione Internazionale. Il progetto, i cui risultati sono
stati presentati oggi nel corso di una conferenza on line, vuole
dare voce e corpo alle storie di tante donne migranti, rifugiate
e richiedenti asilo, provenienti da zone di guerra e vittime di
varie forme di violenza. Cosi’, in una nota stampa, la Fondazione
Pangea onlus.
“La migrazione non e’ mai neutra- Simona Lanzoni,
vicepresidente di Fondazione Pangea Onlus e ideatrice del
progetto “E-sister-e for Peace- sia per i motivi che ti fanno
muovere, sia per dove approdi, sia per chi ti accoglie. E per
accogliere e’ fondamentale capire cosa sia un approccio
interculturale di genere che tenga conto delle diverse esigenze
delle donne, come anche degli uomini migranti, richiedenti asilo
e rifugiati. E’ fondamentale, per esempio, accogliere il vissuto
delle donne in quanto donne e delle motivazioni che le portano a
scappare dai loro paesi, come far emergere e poi prendere in
carico i vissuti violenti che purtroppo quasi tutte
indistintamente vivono nei loro tragitti. Per questo e’
necessaria una formazione specifica interculturale di genere e
sulle violenze da parte degli operatori e delle operatrici negli
ex Sprar Siproimi che spesso manca o e’ discrezionale. Il tutto
e’ ulteriormente peggiorato dopo la trasformazione del sistema ex
SPRAR non e’ piu possibile offrire un servizio personalizzato e
le persone rifugiate sono lasciate a se stesse”.
Ha spiegato ancora Lanzoni: “Nonostante negli ultimi anni
abbiamo assistito ad un aumento dei conflitti intorno al
Mediterraneo – e non solo – e a una fuga sempre maggiore di donne
provenienti da zone di guerra e nonostante queste fossero in
gran parte vittime di violenza, manca una risposta politica
adeguata, anche con il nuovo governo. Gli strumenti che abbiamo
come il piano di Azione Nazionale su Donne Pace e Sicurezza, la
cooperazione in emergenza tra paesi, lo stesso Piano antiviolenza
2017-2020 ormai scaduto, hanno dato risposte deboli
nell’accoglienza e nella presa in carico delle donne richiedenti
asilo e rifugiate. Perche’ questo vulnus politico? Probabilmente
perche’ parlare di immigrazione vuol dire chiamare a se’ dissenso
politico ma non parlarne vuol dire creare disagio che si
trasforma in delinquenza e futuro scontro sociale – prosegue
Lanzoni – Abbiamo sentito quindi la necessita’ di fare un focus
sul tema delle donne migranti e richiedenti asilo e sulla loro
condizione negli ex/Sprar in Toscana e sul funzionamento del
sistema di protezione per donne richiedenti asilo e rifugiate,
proprio perche’, come gia’ evidenziato rapporto Upr su Donne,
Pace e Sicurezza presentato in occasione della Revisione
Periodica Universale dell’Onu all’Italia, occorre dare piu’
strumenti di formazione e inclusione quindi meno bombe vendute
dall’Italia ai paesi in guerra e piu’ accoglienza”.
“La mappatura dei sistemi di accoglienza
in una regione per molti aspetti virtuosa come la Toscana- ha
continuato Lanzoni- ha messo in luce varie lacune. Le donne sono
ancora percepite come soggetti portatori di problematiche
maggiori rispetto agli uomini, costano di piu’, soprattutto in
caso di figli e di inserimento lavorativo. Inoltre hanno traumi
legati alla violenza basata sul genere, molto spesso in Libia,
che si ripercuotono per lunghi periodi nella loro vita e processo
di integrazione. Le strutture di seconda accoglienza, poi,
difficilmente rilevano i loro problemi e sanno come affrontarli.
Pochi sono i progetti a loro destinati: la maggior parte sono
riservati a singoli uomini, mentre solamente 17 nel 2019
accoglievano donne ed un solo progetto era esclusivamente
riservato alle donne. Questo perche’ l’accoglienza delle donne e’
molto piu’ impegnativa e costosa (soprattutto in caso di figli),
sia nella fase della permanenza negli ex/Sprar che in quella
dell’inserimento lavorativo. Essere donna comporta vivere tutta
una serie di esperienze uniche rispetto ad un uomo. Le violenze
basate sul genere possono essere vissute prima della fuga, si
puo’ essere vendute da bambine ed essere vittime di tratta e
prostituite in maniera coatta, violate durante il viaggio, nella
permanenza in Libia, e poi a volte anche in Italia. Vi possono
essere possibili gravidanze indesiderate, in quanto donne
straniere si vivono dei pregiudizi specifici, si puo’ avere
lasciato figli nei paesi di origine o averli persi nel tragitto.
Si puo’ essere costrette a difficili convivenze forzate e via
dicendo .Sono tanti i fattori di rischio differenti rispetto agli
uomini, che hanno bisogno di percorsi specifici per non essere
vittime a vita. Per tutte queste ragioni Pangea ha voluto
rilevare il bisogno formativo degli e delle operatrici, affinche’
non sia lasciato alla discrezionalita’. La Convenzione di
Istanbul sulla prevenzione e la protezione delle donne ha un
capitolo ad hoc sulle donne migranti, rifugiate e richiedenti
asilo e ogni paese che la ratifica, tra cui l’Italia dal 2013,
dovrebbe crear politiche trasversali per permettere anche a
queste donne che vivono discriminazioni e violenze multiple di
potervi fare fronte. Tutto cio’ pero’ ancora avviene solo molto
parzialmente e le disposizioni della Convenzione non sono ancora
prese sufficientemente in considerazione nella costruzione delle
proposte politiche. L’Italia, attraverso il suo sistema di
accoglienza, deve essere in grado di riconoscere tutto cio’, e
applicare quelle misure richieste dalle convenzioni
internazionali, per trasformare le donne in arrivo nel nostro
paese, da vittime ad agenti del cambiamento. La UNSCR 1325
riconosce le donne non solo come vittime ma anche come agenti di
ricostruzione di societa’ e mediatrici dei processi politici”.
Ha concluso Lanzoni: “Le loro storie ci insegnano che non
basta il coraggio: bisogna incontrarsi, riconoscersi e lottare
insieme. L’obiettivo e’ quello di mettere l’accento sulla pace,
la guerra e la condizione del genere femminile e le sue
ineguaglianze e violenze, sui diritti negati delle donne e, allo
stesso tempo, rilevare l’importanza dei percorsi di solidarieta’,
di presa di coscienza e di sorellanza”.
Anche la ministra delle Pari Opportunita’, Elena Bonetti, ha
voluto lasciare un messaggio video nel corso della conferenza:
“Oggi avere il coraggio di dire che dalle donne e con le donne
possiamo promuovere processi di pace credo sia una sfida che va
al di la’ di ogni retorica. Dobbiamo assumerci l’impegno di saper
accogliere e ascoltare queste storie e queste vite ma ancora di
piu’ di poter dare a ciascuna donna l’opportunita’ di desiderare
una vita nuova e di aiutarla a far si’ che questo desiderio
diventi progetto concreto di vita”.
Ha sottolineato ancora la nota: “Congiuntamente alla mappatura
negli ex/Sprar e alle testimonianze raccolte e’ stato avviato
attraverso un osservatorio un lavoro legato ai discorsi dell’odio
sulle donne migranti, rifugiate e richiedenti asilo, uno
spettacolo teatrale ‘Sommerse e salavate’ che racconta storie di
donne che attraversano i conflitti e poi il mare e un
cortometraggio ‘Era un bellissimo giorno’ dove i conflitti
vengono raccontati dalla voce delle stesse protagoniste, una
donna yemenita, una donna curda, una donna nigeriana. Storie
vere, vite che hanno il diritto di vivere con la stessa dignita’
e gli stessi mezzi di qualsiasi altro essere umano donna in
Italia”.