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7 Marzo 20228 marzo, Comunicato stampa, Rete Umbra per l’Autodeterminazione
7 Marzo 2022COMUNICATO STAMPA
Roma, Fondazione Pangea onlus in piazza contro ogni guerra
Pangea: “Che sia un 8 marzo di pace. Adesso è tempo di dire basta”
“F. aveva 23 anni quando ad agosto è riuscita a salire su un aereo per fuggire dall’Afghanistan rimpiombato in mano ai talebani. Lei è una delle tante “figlie” di Pangea, era piccolissima quando sua madre ha bussato alla nostra porta a Kabul per seguire un corso di alfabetizzazione e ottenere quel microcredito che le ha poi permesso di aprire una sua attività. Madre e figlia sono diventate negli anni nostre storiche collaboratrici, che seguivano nei nostri uffici a Kabul un pezzo importante del nostro lavoro. L’arrivo dei talebani ha cambiato tutto, non solo per le due donne ma per tante altre nostre colleghe, molte delle quali siamo riuscite a mettere in sicurezza con il ponte aereo di agosto. Ora F. studia italiano e sta per iscriversi all’università, il suo futuro ha un volto diverso fuori dal burqua.
Con lei, insieme al altro donne afghane, nostre storiche collaboratrici di Pangea a Kabul, abbiamo voluto oggi percorrere la manifestazione per la pace che ha attraversato Roma, per dire che la Pace si costruisce solo con la pace, con il disarmo, con la riduzione delle spese militari, con la partecipazione delle donne ai processi di pace, con il superamento delle alleanze militari e soprattutto proteggendo le persone.
Pangea conosce bene le conseguenze della guerra e della negazione dei diritti umani, perché da 20 anni lavora in Afghanistan con le donne e per le donne in opposizione al regime talebano.
Oggi attraversiamo questa piazza con loro e per loro, per quelle che sono riuscite a fuggire, per quelle che sono ancora lì e che manifestano perché negli anni hanno costruito consapevolezza e che pagano per questo il prezzo peggiore: sono donne, sono consapevoli dei loro diritti, vogliono studiare e lavorare e per questo sono il nemico numero uno dei talebani.
Cambiano gli attori, cambia il paese, ma non la sostanza: in Ucraina come in Afghanistan sulle donne ricade il costo economico e sociale delle guerre. E in questi giorni che precedono l’8 marzo è doveroso ricordarlo. Uomini mandati a combattere, donne lasciate a morire di fame e a rimboccarsi le maniche di fronte a un disastro umanitario.
Le guerre si fanno sempre sui corpi delle donne, le rendono povere e invisibili, perché rendono invisibile qualsiasi altro attore a parte i governi, gli eserciti e gli uomini che sono in guerra.
Non è un caso che proprio la Russia nell’ultimo decennio ha sostenuto e finanziato vari gruppi di pressione legati ad alcuni movimenti ultra conservatori, i cui obiettivi sono ristabilire un presunto “ordine naturale”, opporsi al divorzio, all’accesso ai contraccettivi, all’aborto, ai matrimoni tra persone dello stesso sesso.
La retorica della guerra, del patriottismo rafforzano le gerarchie di genere. Dalle piazze dove protestano contro l’invasione dell’Ucraina, le femministe russe ce lo ripetono: nella militarizzazione e nella guerra non c’è liberazione ma costrizione e la decisione dell’Europa fornire aiuto militare agli ucraini è preoccupante in questo senso. La guerra intensifica la disuguaglianza di genere e mette un freno per molti anni alle conquiste per i diritti umani. La guerra porta con sé non solo la violenza delle bombe e dei proiettili, ma anche la violenza sessuale: come dimostra la storia, durante la guerra il rischio di essere violentata aumenta di molto per qualsiasi donna. La guerra è anche combattuta all’insegna dei “valori tradizionali” che includono la disuguaglianza di genere, lo sfruttamento delle donne. Per questo è necessario che le femministe di tutto il mondo partecipino a manifestazioni pacifiche e lancino campagne contro la guerra in Ucraina e la dittatura di Putin, i diritti negati delle donne in Afghanistan e le tante guerre dimenticate, organizzando – proprio come hanno fatto a Kabul e in molte altre province – le proprie azioni.
E’ fondamentale per questo riconoscere il ruolo delle donne nei processi di pace e nella risoluzione dei conflitti. Un ruolo spesso taciuto o trascurato, perché le guerre storicamente vengono raccontate al maschile. La realtà dei fatti ci racconta il contrario, di un ruolo attivo e centrale delle donne in questi percorsi, tanto che la stessa legge 1325 le riconosce non solo come vittime ma anche come agenti di ricostruzione di società e mediatrici dei processi politici. È fondamentale cogliere questo aspetto quando si parla di conflitti.
Quando parlano le armi le donne vengono cancellate e vengono costrette a dimenticare la propria storia personale e collettiva. La guerra è, come sempre, lo strumento per la ridefinizione dei poteri: per questo le donne vengono zittite e ridotte a un ruolo di subalternità. Noi donne rivendichiamo un ruolo attivo nei processi di pace, di mediazione e di risoluzione dei conflitti. Adesso è tempo di dire basta e cominciare un’altra storia
Venti anni di lavoro di Pangea in Afghanistan con le donne e per le donne ce lo hanno dimostrato: la pace si costruisce con la pace! La guerra distrugge, annienta, uccide, e chi paga il prezzo più alto sono sempre donne e bambini”. Afferma Simona Lanzoni, vicepresidente di Fondazione Pangea Onlus, dal palco della manifestazione.
Nota a margine: Oggi per Pangea i nemici da combattere in Afghanistan sono il freddo e la fame, come in ogni guerra, dichiarata o meno, manca cibo e materiali con cui scaldarsi. Per questo da gennaio è attiva la distribuzione a 7.000 nuclei familiari afghani (che comprendono ben 60.000 bambini) di altrettanti pacchi viveri contenenti 50 kg di farina, 7 kg di fagioli, 10 litri di olio, 21 kg di riso, 7 kg di zucchero, un sacco di materiali per il riscaldamento, sapone per lavarsi, per aiutarli a vivere e a superare il durissimo inverno afghano e abbiamo aperto 7 case rifugio.